È un periodo denso di contraddizioni, quello che stiamo attraversando. Abbandonata l’illusione che la crisi economica fosse solo un accidente passeggero, molte tra le persone che conosco hanno cominciato a perdere i propri punti di riferimento.
Mi capita quasi ogni giorno di scambiare con qualcuno due parole sulle cause e i possibili sviluppi di questo bel pasticcio: mi accorgo così che si finisce sempre per ricondurre ogni cosa alle leggi del mercato, alla congiuntura mondiale, alle nuove economie emergenti. Quasi non fosse colpa anche nostra se il denaro che ancora riusciamo a metterci in tasca – magari con un po’ più di fatica – perde ogni giorno di valore.
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A pochi viene in mente che sia venuto il momento di cambiare i nostri stili di vita, i nostri obbiettivi e anche i modi per realizzarli. Tutti guardano indietro, chi per bestemmiare un passato fatto di soli errori e chi per rimpiangerne i fasti. Ho sentito trentenni ricordare di come si stesse bene negli anni ottanta. Gente che aveva molto meno di vent’anni quando imperversavano Craxi – pace all’anima sua – Andreotti e Forlani. Gente che di quell’epoca non può che avere rimpianti, dal momento che a quel tempo la loro sola preoccupazione era che cosa indossare la mattina per fare bella figura con la tipa della classe accanto. Cosa più che legittima, quando si ha quell’età.
Ma chi ha ancora voglia di guardare avanti non si limita a sperare che le cose vadano meglio per poter essere assunto nuovamente a tempo indeterminato. Si domanda piuttosto: di che cosa ha bisogno questo mio tempo? Sono in grado di capire il mondo in cui vivo e trovarvi una collocazione migliore? Cosa so fare? Cosa devo imparare? Cosa devo imparare a fare?
È crisi dappertutto. Ma questo è per forza un male? Io dico di no…