Parole come “baita”, “pascolo”, “pastorella di oche” mi affascinarono lungo tutta l’infanzia. Possedevano l’aroma sensuale di un mondo vero, spensierato e lontanissimo dai tetti polverosi di lamiera, dagli spiazzi colmi di rottami e rovi, dagli squallidi pendii di una Gerusalemme strozzata dal giogo di un’estate incandescente. Bastava che sussurrassi fra me e me “pascolo” – per udire il muggito delle vacche con le campane appese al collo e il gorgoglio dei ruscelli. A occhi chiusi, osservavo la pastorella d’oche scalza, che mi turbava fino alle lacrime quando ancora non sapevo nulla.
Una storia di amore e di tenebra, Amos Oz, Feltrinelli © 2003, p.9