Ci sono altre poesie che hanno lasciato una traccia profonda nel mio immaginario durante gli anni d’oro della mia formazione, ma questa ha un posto speciale nei miei ricordi.
A vent’anni riempivo i miei vuoti riempiendo fogli e foglietti di disegni sconnessi e frasi visionarie – a volte qualcuno ne rimaneva ammaliata, altre volte la stessa qualcuno ne usciva contrariata o confusa.
Mi esercitavo tra una figura grottesca e un paesaggio alla Dylan Dog a riprodurre anche i versi dei poeti russi, nella loro incantevole lingua madre.
Due erano i temi più ricorrenti nei miei scarabocchi con la penna biro: можно войти? – ovvero: posso finalmente entrare anch’io nelle cose del mondo? è infine finito il tempo dell’esilio e della segregazione? – e мы будем как солнце – ovvero: sì, risplenderemo anche noi finalmente nelle nostre vite piene così come risplende un sole.
E quest’ultimo verso – che in realtà, se la memoria non mi tradisce, è il titolo di una raccolta di poesie giovanili di Bal’mont, campione del simbolismo russo – oggi me lo farei tatuare in fronte se quei vent’anni li avessi ancora.
E di un sole che non è più solo quello dei vent’anni parlano anche i versi di «Io venni al mondo per vedere il sole», poesia che ho ritrovato oggi quasi per caso in una vecchia scatola di cartone, stampata con una stampante ad aghi su un tabulato a modulo continuo.
Quanta bellezza, tutte queste cose insieme.
«Io venni al mondo per vedere il sole»
Io venni al mondo per vedere il sole
e gli azzurri orizzonti.
Io venni al mondo per vedere il sole
e i bianchi monti.
Io venni al mondo per vedere il mare
e il verde oro del piano.
Più mondi in uno sguardo io so serrare:
sono un sovrano.
Io vinsi lo squallore dell’oblio
col mio incanto.
In me si cela eternamente un dio
e sempre canto.
Svegliato fu il mio sogno dal dolore
e in terra mi ama ognuno.
Chi pari m’è nelle virtù canore?
Alcuno, alcuno!
Io venni al mondo per vedere il sole
e all’imbrunire
io canterò… Io canterò del sole
nell’ora di morire.
Konstantin Dmitrievič Bal’mont
Traduzione di Renato Poggioli, tratta da “Il fiore del verso russo”, Passigli Editori, 1998.