Mi sto trascinando dietro un lavoro complesso e piuttosto delicato da almeno un paio di settimane, facciamo anche tre. Si tratta, in estrema sintesi, di far parlare tra loro sei efficientissime macchine rinchiuse dentro un enorme capannone buio e di strappare a qualche loro componente interno informazioni utili alla pianificazione della produzione 2024. Detto così sembra un lavoro relativamente semplice, ma per una serie di motivi che non sto a spiegare le macchine non manifestano la minima voglia di parlarsi e tutto deve essere pronto prima del 31 dicembre, quindi praticamente domani.
Così finisce che gran parte dei miei pensieri viene impegnata in ragionamenti, calcoli e fantasticherie – nel senso di: soluzioni fantasiose – per l’intero corso della giornata e non solo mentre sono su quel progetto.
Quando entro in questo stato alterato di coscienza, sono particolarmente assente e se presti attenzione al mio sguardo ti accorgi che mentre mi parli mi cala una sottile velatura sugli occhi: apparentemente ti ascolto, ricambio i tuoi sguardi e capisco abbastanza bene quasi tutto quello che dici, ma nello stesso istante seguo appassionatamente il film che viene proiettato sulla tua faccia dalla mia immaginazione e che ha per protagonista me che risolvo in mille maniere creative il problema di cui sopra. Non te la prendere, ma sappi che ti ascolto per la cortesia e l’educazione che mi contraddistinguono, non perché quello che stai dicendo mi interessi davvero.
Ecco, quando sto così, la cosa peggiore non è tanto l’essere tenuto ad ascoltarti, quanto l’essere costretto a parlare.
Puoi fare finta di ascoltare in mille maniere diverse, ma è molto più difficile parlare di qualcosa mentre pensi a tutt’altro.
E tu lo dovresti capire da te, ci dovresti arrivare in qualche modo, cos’è tutta questa voglia di parlarmi e soprattutto di farmi parlare? Ecco, vedi, volente o nolente ora sto recitando la parte di una delle sei macchine che non vogliono parlarsi tra loro. Sto nuovamente parlando di qualcosa pensando a qualcos’altro.
Quindi, visto quello che ho scritto e vista l’ora decisamente tarda, rivendico il diritto di starmene zitto e ti annuncio l’intento di non scrivere oltre.
Perché poi io su un argomento del genere potrei scriverci un intero libro, se mi ci mettessi. Ma, ça va sans dire, lo farei pensando ad altro, il che porterebbe ad un paradosso ricorsivo che farebbe implodere l’intero ragionamento, mettendo definitivamente fine a questo post.
Ecco, appunto.