Sabato sera mi sono rifatto dell’esperienza catartica di “Setta anime” con un film leggero, leggerissimo, praticamente demenziale. Ma assolutamente divertente, nel senso più antico del termine. (Mi piacciono le frasi senza predicato). Un paio di ore di una spensieratezza così sana da costringerti a riflettere. (Mi piacciono molto anche i periodi senza principale). Chi mi conosce sa che sono, mio malgrado, uno yesman con i controfiocchi. Nel senso meno edificante che si possa immaginare, ovvio. Io sono uno di quelli che non sa dire di no a nessuno, ma proprio a nessuno, specie quando si tratta di fare qualcosa che non avrei assolutamente né il tempo né la voglia di fare. (La frase precedente va circosritta alle mie attività lavorative, non fraintendete…). Come molti di quelli che fanno il mio lavoro, ci sono giornate in cui sono talmente zeppo di cose da fare da non avere nemmeno il tempo per respirare. Eppure, se proprio durante una di queste giornate mi chiama il signor Chiunque chiedendomi di realizzare in tempi brevi la più strampalata delle idee, io mi faccio in 16 e trovo un modo per accontentarlo. Certo, non lo faccio pro bono come certi avvocati dei serial americani, ci mancherebbe. Ma, in questo modo, finisco per passare gran parte del mio tempo in una sorta di continuo cambio di rotta. E questo, credetemi, non porta davvero da nessuna parte. Per questo motivo, mi pare particolarmente chiaro che la vera morale della nuova commedia di Jim Carrey (tratta dal best seller di Danny Wallace) non è “impara a dire di sì alla vita”, ma al contrario “impara a dire di no a tutto quello che ti tiene lontano dalla vita”. Lapalissiano, no?